Il caso KIA (che alcuni cercano come KN)

Nel 2021, la casa automobilistica coreana KIA ha ridisegnato il proprio logo, abbandonando la forma ovale con un lettering tutto sommato semplice che l’accompagnava sin dal 1994, e interessato nel 2012 da un leggerissimo restyling.

Il nuovo logo ha rotto del tutto col passato, presentandosi senza alcuna forma a contenerlo – forse perché l’ovale è anche la forma che contraddistingue il marchio del proprio gruppo, Hyundai – e con un design molto dinamico, capace di trasmettere un carattere più grintoso alla gamma. Un lavoro simile lo ha compiuto anche Dacia, non a caso anch’essa passata da un inizio rassicurante e low-cost ad una proposta più accattivante sul mercato, complice anche l’impulso arrivato dalla nuova modalità elettrica che ha caratterizzato tutta la galassia automotive.

Il problema per KIA è che molte persone hanno iniziato a leggere ‘KN’ in luogo delle familiari tre lettere del brand. Non una cosa da poco e, sopratutto, non un grattacapo puramente estetico. Google, ad esempio, ha ricevuto richieste da oltre 30.000 utente al mese sul nuovo marchio automobilistico KN nel periodo di lancio del rebranding. La cifra è poi aumentata in modo esponenziale quando KIA ha iniziato a cambiare gli emblemi dei modelli esistenti.

Il portale Carscoops ha notato che su Reddit venivano poste domande sulla “marca sconosciuta” KN: lì, uno degli utenti ha pubblicato una foto di una Kia Carnival e ha chiesto di che marca fosse questa macchina. Secondo Google Trends, il nuovo emblema Kia confonde non solo gli americani, ma anche i residenti in Australia, Canada ed Europa. Le richieste più frequenti hanno riguardato i “SUV KN”, il “prezzo delle auto KN” e le “auto elettriche del marchio KN”. I consumatori statunitensi sono interessati anche a “che marca è KN”, nonché ai modelli “KN Carnival” e “KN Telluride”.

Guardando complessivamente i numeri del fenomeno, però, si nota che in un mese venivano fatte 1.83 milioni di ricerche usando come chiave la parola «KIA» mentre per «KN» se ne registravano solo 30.000, letteralmente una goccia nel mare; va altresì notato come certi browser per utenti di lingua inglese, come ad esempio Google Chrome, suggeriscono automaticamente, ancora adesso, «KN Car» e «KN Car Brand» se si digita la parola KN seguita dalla lettera “c”. Abbiamo provato a farlo anche noi, su google.it, ed effettivamente se si ricerca «KN» tra i primi suggerimenti compare «KN car», «KN logo», «KN kia», a dimostrazione che il nuovo logo scelto dal produttore di auto coreano qualche dubbio lo genera. Non la fine del mondo: fino a che non nascerà un marchio automobilistico dal nome «KN», a Seul possono dormire sonni tranquilli.

Se invece usiamo la lente del progetto grafico e della corporale identity, questo caso porta a più di una riflessione. La prima è che la leggibilità – a maggior ragione se il marchio deve mostrarsi al mondo e non ad una nicchia geografica – va sempre messa al primo posto. La sintesi grafica più ardita ed affascinante non può prescindere da questo, e sia il progettista che il committente non devono cadere nel tranello dell’innamoramento della forma. Da non dimenticare i riflessi culturali della faccenda: una forma, un simbolo, un accostamento fonetico o lessicale che in Italia può suonare simpatico dall’altra parte del globo potrebbe risultare offensivo, arrivando a rovinare la reputazione dell’azienda (vi rimandiamo qui per una curiosa lista di casi ‘terribili’: pronesis.it/blog/33-loghi-terribili/). La seconda è che un focus group più variegato a cui fa valutare in fase preliminare un progetto di brand è sempre consigliabile, e questo vale anche nel piccolo. Per fare un esempio, in un’agenzia sovente si fanno dei sondaggi tra le varie proposte, ed è spesso un project manager diverso da quello che ha in carico il lavoro di branding (o rebranding) a notare qualcosa che potrebbe non funzionare, appunto perché non immerso, o peggio ‘fuso’, nel progetto in questione. La terza – ed è forse il caso di KIA, visti i numeri elencati in precedenza – è che alla fine, dai, si può anche… rischiare: una volta appurato che i dubbi possono emergere solo da una minoranza, il design può essere approvato, prendendosi la responsabilità di creare una piccola porzione di caos. Ma quest’ultimo passaggio, appunto, deve poggiare su numeri di una vasta, vastissima platea, come appunto quelli di un brand venduto in tutto il mondo; nel caso di un’azienda con un raggio d’azione più ridotto, il criterio della leggibilità deve rimanere un totem inscalfibile. Il naming, il nome per dirlo ancora più chiaro, è il principio e la fine di un progetto di corporate design.

Nominare male le cose,
è partecipare all’infelicità del mondo.
(Albert Camus)

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